venerdì 4 novembre 2011

Franco Pappalardo La Rosa, "Il caso Mozart", recensione di Piero Mioli su "Musica e Scuola" del 15.9.2009, A.XXIII, n. 15

E' un romanzo "Il caso Mozart" di Franco Pappalardo La Rosa(Gremese, 2009) che nel corso di oltre duecento pagine descrive le ultime ore di vita di Wolfgang Amadeus tenendo conto, anzi fidandosi assolutamente delle conclusioni raggiunte tempo fa da alcuni ricercatori non molto graditi al biografismo ufficiale. Che l'ancora giovane Mozart, cioè, morì di mortte violenta, ammazzato, proprio così, dal marito di un'allieva con la quale aveva una relazione (Franz Hofdemel lui, Magdalena lei). Bastonato senza pietà (ma anche senza una precisa volontà omicida) e scaraventato ai bordi di una strada, nottetempo, fu soccorso e riportato a casa ma inutilmente. Su pochi altri dati del genere l'autore ha ricamato una vicenda, una storia quasi in tempo reale di notevole suggestione: la famiglia, i conoscenti, gli allievi, i pezzi grossi della Vienna d'allora vi trovano posto in tutta calma, senza alcuna congestione nonostante la drammaticità del racconto e la sua indole addirittura poliziesca. Quando, per esempio, il povero Franz Xaver Sussmayr corre a teatro a cercare il dottor Closset, che venga subito dal morente, prima che dall'alto della scala del teatro compaia il dottore stesso compaiono il Kaiser Leopoldo con la Kaiserin Maria Luisa e man mano tutti i cortigiani, i collaboratori, i ministri e quant'altri personaggi, attraverso una descrizione viva, simpatica, quasi fotografica (nel senso migliore).
Chiaro e ordinato il racconto, la prosa limpida e scorrevole non manca di guizzi poetici: di uno che risponde lamentoso e svogliato, a un certo punto, si dice che "uggiolò"; e di un altro che fece più o meno il contrario, che "melodiò".

PIERO MIOLI

Franco Pappalardo La Rosa, recensione di "Pronuncia d'inverno", poesie di Evelina De Signoribus (Canalini e Santoni, Ancona, 2009, pp.76, Eu. 12)), apparsa su "L'indice dei libri del mese", luglio-agosto 2010, p.20.

Preceduti da una Nota di Enrico Capodaglio e ripartiti in quattro sezioni, i testi della silloge - poesie e brevi prose "metriche" - presentano un io intento a sceverare, con lucida acribia, il grumo di dolore che gli ha radicato dentro l'"innaturale maniera di sopravvivere" in una realtà raggelata. Si tratta di un io femmina, di una Elle, la cui scrittura, sintomaticamente, assume il corpo non solo come carne sensibile alle trafitture di quel grumo di dolore, ma anche come centro di controllo, da parte della stessa, del persistere della propria identità ("Mi chiedo se sono ancora io, / se ancora sono in possesso del mio corpo"),

     Per questo la protagonista della poesia di De Signoribus si autorappresenta nell'atto di vivere angoscianti situazioni beckettiane - fra stanze zeppe di oggetti, corridoi, pianerottoli, bui cunicoli -, nelle quali affiorano straniti lacerti di vita, echi di voci, "stracci di lingue clandestine", di rabbie, rancori, desideri, rimorsi, e dove ogni movimento le viene imperdito (si veda La preghiera). Oppure si mimetizza nelle enigmatiche creature, Elsa, Anna, Emma, le parlanti le "lingue clandestine", convocate sul proscenio del teatrino d'ombre animato dai testi, nella cui eterna vicenda di sogni infranti, di pena, di sopraffazione, di noia, di disamore, consumata nel chiuso di stanze-prigioni e osservata con sororale pietas, lei si proietta e si riconosce: "io contemplavo la ferita di Emma che Anna lasciava sanguinare".

     Benché vi compaia qualche consonanza di rime ("in un tracollo fitto e irto / che forse sarà descritto a pagina..."), non c'è musica né canto, in queste corrusche-aguzze, intense, scritture; c'è, invece, il basso continuo alimentato dai borborigmi di una Elle in sofferenza, ormai rassegnata a pronunciare smozzicate spoglie di parole (di cui si "sovviene il suono, non il senso") in un mondo dove "tutto quello che viene detto è irrilevante / e senza eco".

                                                                                            Franco Pappalardo La Rosa